Così come luoghi, monumenti e libri antichi, anche le tavole pugliesi raccontano molto di questa Regione. Un’esaltazione di sapori e colori che prende vita nelle cucine delle massaie che, oltre alle ricette, tramandano manualità e lavorazioni particolari. Secondo il Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, che annualmente pubblica gli elenchi aggiornati, sono ben 285 i prodotti della tradizione pugliese (Pat). Alcuni descrivono l’intera Regione, come le frise o le orecchiette, altri raccontano caratteristiche e tipicità di luoghi e territori meno conosciuti.
Preparata con ingredienti economici e in grado di conservarsi a lungo così, la frisa o frisella, divenne uno dei prodotti più consumati: bagnata nell’acqua e condita con olio d’oliva, sale e pomodoro. In Puglia è una portata prettamente estiva ma oggi, soprattutto nelle grandi città, la si trova in ogni stagione proposta anche in versione gourmet.
Hanno origini povere anche le orecchiette: ingredienti semplici e lunga conservazione, hanno reso la pasta secca uno dei piatti più diffusi sulle tavole pugliesi. Portata immancabile della domenica servite con sugo al pomodoro e ragù, ma l’accostamento più noto è quello con le cime di rapa esaltato da una profumata colatura di alici che ne esalta profumi e colori.

Sono originariamente brindisine, ma molto diffuse in tutte le province pugliesi, le “bombette” piccoli involtini di carne di maiale farciti con aglio, prezzemolo e fette sottili di pancetta e caciocavallo, questa la ricetta tradizionale, ma anche in questo caso le rivisitazioni sono davvero tante e tutte buone. Parlando di tipicità locali è obbligata la sosta a Taranto dove, eccezionalmente, non si trova un prodotto lavorato, ma un regalo che viene dal mare: la cozza tarantina. La sua particolarità è legata soprattutto alla tecnica della mitilicoltura, qui praticata da secoli. Gli appassionati le gustano crude con una sola spruzzata di limone o, in alternativa, “aperte all’ampa” facilissime da preparare: si versano le cozze pulite in una pentola con olio, peperoncino e aglio. Si cuoce a fuoco lento sino all’apertura e si servono con abbondante prezzemolo e pepe.
Si accompagna al nome della città un altro gustosissimo piatto, la “scapece gallipolina“. La si trova in ogni festa, sulle bancarelle, nei mercati e la si riconosce subito dal colore giallo vivace (dovuto all’utilizzo dello zafferano). La nascita di questo piatto porta con sé la storia della città i cui abitanti, per ripararsi dalle invasioni, si ritiravano all’interno delle mura per lunghi periodi escogitando metodi di conservazione del cibo a disposizione. Il pesce veniva fritto e conservato in una marinatura composta da diversi strati di pane imbevuti nell’aceto, si fa così ancora oggi.

Questo brevissimo viaggio si conclude nella città barocca, Lecce, che tra le tante specialità ha creato anche il “rustico leccese”. Strati di sottilissima pasta sfoglia, farciti con besciamella, mozzarella e passata di pomodoro. Oggi si chiamerebbe street food, ma le origini storiche del rustico sembra siano molto più nobili dati gli ingredienti, non proprio comuni tra i ceti più poveri, come la besciamella e la pasta sfoglia. E per digerire, caffè in ghiaccio con latte di mandorla, il migliore lo si può gustare proprio a Lecce, nel Bar Avio della famiglia Quarta, proprio lì dov’è nato.
(Non abbiamo parlato di sua maestà il pasticciotto, ma gli abbiamo dedicato un intero articolo. Lo trovate qui)